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La Legge quadro N. 281/1991 detta i principi generali in tema di tutela degli animali “da affezione” e prevenzione del randagismo, elencando le sanzioni in caso di violazione delle disposizioni e delegando alle singole Leggi regionali la ripartizione delle funzioni svolte nello specifico da ASL, Regioni e Comuni.

Posto quindi che la normativa nazionale non designa l’Ente responsabile in caso di danni cagionati da animali randagi, risulta necessaria la interpretazione della disciplina in vigore nelle varie Regioni. Il costante orientamento della Suprema Corte statuisce infatti: “…La responsabilità civile per i danni causati da cani randagi spetta esclusivamente all’Ente, o agli Enti, cui è attribuito dalla Legge (ed in particolare dalle singole Leggi regionali attuative della Legge quadro nazionale N. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi…” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 18/05/2017 N. 12495; nonché numerose altre conformi). La casistica di riferimento espone, nell’attuale momento storico, una obiettiva preponderanza per la legittimazione passiva del Comune (in alcune ipotesi affiancata dal coinvolgimento della ASL), tuttavia l’individuazione del soggetto destinatario dell’azione permane una operazione ermeneutica da condurre attentamente sulla scorta delle norme e dei criteri sopra enunciati.

Sotto il profilo processuale appare utile osservare che, a differenza della fattispecie di danno causato da animale “domestico” ove la responsabilità del padrone/custode si presume, in caso di pregiudizio subìto da animale “randagio” l’attore sarà tenuto a conferire tutti gli elementi suggestivi della colpa dell’Ente: “…La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all’articolo 2043 C.C. e non dalle regole di cui all’articolo 2052 C.C.; (…) occorre quindi la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’Ente, e della riconducibilità dell’evento dannoso, in base ai principi della causalità omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria…” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 31/07/2017 N. 18954).

Avv. Francesco Saverio FRANCHI

(con la collaborazione di Antonio CICCONE)

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