La formazione del nuovo esecutivo ha richiesto ben 90 giorni di tempo, che messi faticosamente in fila hanno composto la più lunga crisi di governo della nostra storia repubblicana. Una fase di incertezza politica, senz’altro, ma anche un momento formidabile per misurare (“a bocce ferme” e con uno sguardo il più possibile distaccato) il nostro rapporto individuale e collettivo con le istituzioni, in curiosa coincidenza con la festa della Repubblica del 2 giugno.
Negli ultimi tre mesi, infatti, l’attenzione popolare si è raccolta intorno all’agone politico, alla interpretazione delle norme costituzionali, all’analisi delle prerogative e delle strategie, riversandosi con la consueta irruenza nelle pagine dei “social”. E’ notizia ancora attuale la iscrizione nel registro degli indagati di alcuni utenti per offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica (art. 278 c.p.), un segnale inequivocabile di quanto la discussione “di strada” si sia trasferita con effetti amplificati sul web.
Il fenomeno, sebbene manifestatosi attraverso mezzi di comunicazione nuovi, rimanda a una tematica universale: l’alternanza di percezioni sociali tra la libertà e l’oppressione, tra l’aspetto emancipante e quello repressivo che è parte integrante di ogni Istituzione. Ecco il pensiero di Sigmund Freud sul “Disagio della civiltà” (1930):
“Non vogliamo ammettere, non riusciamo a comprendere perché le istituzioni che noi stessi abbiamo creato non debbano rappresentare una protezione e un beneficio per tutti (…) Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”.
Nell’attuale momento storico, ove le percezioni restrittive delle istituzioni si incontrano con le ampie possibilità comunicative dei cittadini, può assumere un ruolo fondamentale la dimensione sociale del giurista. Sostiene in proposito Donatella Stasio (responsabile comunicazione della Corte Costituzionale) “Il giurista non può chiamarsi fuori dalla responsabilità di comunicare (…) c’è più che mai bisogno di mettere in circolo pensieri che – al di là della condivisione soggettiva – costringano anzitutto a misurarsi con la complessità della realtà” (2018)”.
E’ dunque con questo spirito che rileggiamo oggi le parole espresse nel 1940 da Pietro Calamandrei sulla “utilità sociale” del giurista, il quale “diventa un politico quando con queste leggi egli discende nella realtà sociale e al lume di esse interviene nelle miserie e nelle risse degli uomini, e serve ad essi in concreto di guida e di garanzia”.
Avv. Francesco Saverio FRANCHI