La Suprema Corte torna a pronunciarsi a Sezioni Unite in tema di legittimità della clausola “claims made”, intervenendo in maniera significativa nel confronto giurisprudenziale rappresentato principalmente dalle precedenti Sentenze N. 9140/2016 e N. 10506/2017 (nonché altre). Per una breve disamina in argomento si rimanda all’approfondimento presente nel nostro archivio storico (http://studiofranchivalente.com/2018/01/23/la-questione-aperta-della-clausola-claims-made/).
Ecco il principio di diritto sancito nella Pronuncia N. 22437/18, già pubblicata sul sito ufficiale della Corte di Cassazione:
“…Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole ‘on claims made basis’, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’art. 1917 C.C., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322, secondo comma C.C., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)…”.
Il Verdetto parte da un dato giuridico incontrovertibile, che sostanzialmente innova la materia su cui si sono confrontate le predette Sentenze: il riconoscimento normativo della clausola “claims made” negli interventi legislativi recati dall’articolo 11 L. 8 marzo 2017 N. 24 “Assicurazione delle strutture sanitarie per la RC verso i terzi e i prestatori d’opera”; e dall’articolo 3, comma 5, lettera c) D.l. 13 agosto 2011 N. 138 come novellato dall’art. 1, comma 26, della L. 4 agosto 2017 N. 124, in tema di obbligo di “stipulare idonea assicurazione” a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti.
L’opera di standardizzazione del contenuto contrattuale voluta dal legislatore, pone la “claim made” nell’area della tipicità legale, quale deroga consentita del sottotipo delineato dal primo comma dell’art. 1917 in tema di assicurazione della responsabilità civile.
La primaria conseguenza di una simile operazione – osserva la Suprema Corte – è il superamento del “giudizio di meritevolezza” ancorato al presupposto della atipicità contrattuale ex art. 1322, secondo comma C.C.. Ma il vaglio del contenuto contrattuale non viene affatto eliminato, spostandosi nell’ambito dell’art. 1322 comma 1 C.C., cioè quello del rispetto dei “limiti imposti dalla legge”, finalizzato in sostanza alla individuazione degli interessi perseguiti dalle parti, (ciò che suole definirsi la “causa in concreto” del negozio).
Il test effettuato ai sensi dell’art. 1322 comma 1 C.C. – afferma la Cassazione – “…non prescinde, però, dalla stessa tensione ispiratrice dello scrutinio di meritevolezza di cui il capoverso del citato art. 1322 C.C…”; in tal modo vengono conservati gran parte dei valori espressi nella citata Sez. Unite N. 9140/16.
Pertanto la N. 22437/18 elenca una serie di parametri negoziali di sicura affidabilità ai fini della enunciata valutazione:
- gli obblighi informativi che l’impresa assicurativa (e i suoi intermediari) deve assolvere nella fase prodromica alla conclusione del contratto, la cui violazione comporta il ristoro del danno commisurato all’entità delle utilità che l’assicurato avrebbe potuto conseguire sulla base di un contratto correttamente concluso;
- l’indagine sul contenuto contrattuale, analizzato dalla Suprema Corte sotto il duplice profilo del palese squilibrio tra rischio assicurato e premio (sintomo della carenza della “causa in concreto” del negozio), e della nullità ex art. 1418 C.C. per violazione delle norme imperative dettate dalla disciplina legale di base (costituita dai citati interventi legislativi che hanno “tipizzato” la clausola);
- l’esame della fase dinamica del rapporto, all’interno della quale viene espressamente stigmatizzata la clausola che attribuisce all’assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati (qualificata dalla Cassazione come “abusiva” per la sua tendenza a vanificare sia la corrispettività del premio e sia l’alea, entrambi parametrati sul termine ultimo di durata della copertura).
Avv. Francesco Saverio FRANCHI