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Il neologismo inglese “body shaming” è entrato in uso solo negli ultimi anni, con l’avvento dei social network, in particolare Instagram e Facebook. Il suo significato letterale è “far vergognare qualcuno del proprio corpo”:  la pratica consiste infatti nel criticare o deridere la fisionomia di una persona attraverso commenti estremamente negativi.

Tale fenomeno può colpire indistintamente qualsiasi soggetto, e riguardare ogni aspetto del fisico: sono particolarmente soggetti a tali condotte gli adolescenti e le donne.

Spesso tale pratica sfocia in fenomeni  di bullismo e cyber-bullismo, e può integrare, a seconda della modalità e intensità della condotta, diversi reati, dalle minacce, allo stalking, fino all’istigazione al suicidio. Quello principale è però rappresentato dalla diffamazione.

DIFFAMAZIONE E BODY SHAMING La V Sezione Penale della Corte di Cassazione con la Sent. N. 8328 del 13/07/2015, ripresa poi anche successivamente in altre Pronunce, ha affermato che postare sui social network commenti e foto lesive della dignità altrui rappresenta una forma di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.

Il reato di diffamazione può essere infatti realizzato con qualsiasi mezzo (parole, scritti, disegni) e avviene quando l’offesa viene rivolta a una persona identificabile e comunicata a un minimo di due persone, anche in tempi diversi.

Ad esempio, un commento sotto una fotografia su un social network viene inteso come rivolto al soggetto nella foto, anche se non riporta nome e cognome del destinatario del commento.

L’AGGRAVANTE DEL MEZZO DI PUBBLICITA’ L’utilizzo di una piattaforma social quale mezzo di comunicazione dell’offesa, secondo gli Ermellini, costituisce peraltro un’aggravante, poiché si tratta di mezzi capaci di raggiungere un numero molto elevato di persone: “….l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network…” (Cass. Pen. N. 50/17).

Avv. Stefano FRANCHI

con la collaborazione del
Dott. Alessio PRIMAVERA

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