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La Direttiva UE 2006/123/CE, comunemente conosciuta col nome del suo proponente (Frederik “Frits” Bolkenstein, allora Commissario Europeo) è una Direttiva emanata dall’UE in tema di prestazione di servizi, che si prefigge lo scopo di incidere in tre diversi ambiti:

libertà di stabilimento dei lavoratori e attenuazione delle discriminazioni basata sulla nazionalità;

armonizzazione delle diverse legislazioni in tema di tutela dei consumatori;

libera circolazione dei servizi e possibilità di svolgerli temporaneamente con diplomi e/o autorizzazioni rilasciate dal proprio paese d’origine.

Proprio quest’ultimo aspetto ha generato sul territorio nazionale perplessità e proteste da parte di venditori ambulanti e titolari di stabilimenti balneari, principali categorie interessate dall’ambito di applicazione della norma comunitaria nel nostro Paese.

I CONTRASTI FRA ITALIA E UNIONE EUROPEA A distanza di quattro anni dall’emanazione della Norma,  l’UE ha messa in mora l’Italia, chiedendo di uniformarsi ai princìpi sanciti dalla Direttiva Bolkenstein. Col D.Lgs. 59 del 26 marzo 2010 l’Italia decise (apparentemente) di allinearsi alla normativa europea, mediante l’abolizione del rinnovo automatico delle concessioni demaniali, ottenendo così l’archiviazione del procedimento di infrazione. Nel dicembre del 2012, il Parlamento ha operato una parziale retromarcia, disponendo una proroga della scadenza relativa alle concessioni demaniali all’anno 2018 (di recente ulteriormente posticipata al 31 dicembre 2020).

CONTROVERSIE NAZIONALI Dal 2011 in poi alcuni Comuni – aderendo al dettato del citato Decreto 59/10 –  hanno indetto bandi per il rinnovo delle concessioni, negando di fatto la continuità aziendale dei vecchi esercenti: molte delle controversie scaturite fra amministrazioni locali e concessionari “storici” sono approdate dinanzi alla Corte di Giustizia Europea.

SENTENZA UE (cause riunite 458/14 e 67/15) La Corte di Giustizia Europea – in applicazione dei princìpi enucleati dalla Bolkenstein – con Sentenza resa in data 14/07/16 (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=181682&doclang=IT) – ha statuito che le autorizzazioni marittime e lacuali devono necessariamente prevedere una procedura di selezione fra i potenziali candidati, nei limiti in cui tali concessioni presentino un interesse transfrontaliero certo. E’ stato pertanto prescritto che il diritto di stabilimento in un’area demaniale finalizzato allo sfruttamento economico per fini turistico‑ricreativi sorge in seguito all’aggiudicazione di un bando che garantisca la partecipazione di tutti i soggetti interessati.

IL MODELLO SPAGNOLO I gestori degli stabilimenti balneari presenti in Italia (si stima 35.000 aziende, quasi tutte a conduzione familiare) auspicano una soluzione alla “Spagnola”: nella Penisola Iberica i grandi gruppi che hanno in concessione le spiagge sono riusciti a far avallare dalla Commissione Ue la Ley de Costas del 2013, che prevede una proroga da 30 a 75 anni delle concessioni in essere, senza gare.

IL RECENTE INTERVENTO DI FRITS BOLKENSTEIN In netta controtendenza con l’indirizzo della Corte Europea si colloca il pensiero dell’ideatore della Direttiva, Frederik Bolkenstein, il quale – intervenuto il mese scorso alla Camera dei Deputati – ha espresso una interpretazione divergente da quella fornita dalla Corte di Giustizia Europea. Queste le sue parole sui concessionari di stabilimenti balneari: “Anche se aiutano un turista a trovare un servizio, conta il core business: le concessioni sono beni, e non servizi”.

L’interpretazione autentica del padre della Direttiva basterà a salvare le spiagge italiane dall’assalto degli operatori stranieri?

Avv. Stefano FRANCHI

fv

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