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I Testimoni di Geova, attingendo ad una interpretazione della Bibbia, rifiutano le emotrasfusioni, come segno di rispetto verso Dio che considererebbe il sangue come un “contenitore” di vita, preferendo la cosiddetta “medicina senza sangue”, anche nei casi di imminenti rischi.

I CASI PIU’ RECENTI Il 2 ottobre di quest’anno, all’ospedale di Caserta, è morta una donna che aveva rifiutato di sottoporsi a trasfusioni di sangue perché appartenente a quella confessione: l’emorragia che l’ha uccisa sarebbe stata arrestata dalla pratica medica rifiutata, secondo quanto dichiarato dal chirurgo.

Solo qualche giorno prima, due genitori avevano vietato ai medici dell’ospedale di Legnano di effettuare il trattamento sulla figlia di dieci mesi, in pericolo di vita, per la stessa ragione, noncuranti delle sollecitazioni del personale sanitario; in quella circostanza la Procura di Milano, interpellata dall’ospedale, aveva sospeso la potestà genitoriale, autorizzando ai medici di effettuare la trasfusione, poi risultata superflua.

I LIMITI  E LE TUTELE IMPOSTE DALL’ORDINAMENTO Sebbene la libertà religiosa, affermata già a partire dal XVII secolo, sia e rimanga uno degli elementi caratterizzanti lo Stato di diritto, ci si domanda fino a che punto possa spingersi la sua tutela nella coesistenza con quella di altri interessi giuridicamente protetti dall’Ordinamento.

Il rapporto che intercorre fra libertà religiosa e ordine pubblico è caratterizzato da particolari complessità, sottolineate dai più autorevoli costituzionalisti, ma è sostanzialmente racchiuso nel dettato dell’art. 19 della Costituzione: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume“.

La liceità dell’astensione terapeutica è però espressamente prevista dall’art. 32, comma 2, della Costituzione: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Prendendo le mosse da tale articolo, peraltro, la Corte di Cassazione ha recentemente statuito che anche il divieto assoluto di lasciarsi morire costituisce una limitazione della libertà di autodeterminazione del malato.

Sulla libertà nell’espletamento delle cure e dei trattamenti terapeutici anche la Corte Costituzionale, recentemente investita sulla rilevanza penale della istigazione e dell’aiuto al suicidio (sul punto consulta il nostro approfondimento), ha dichiarato “non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito del suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile”

Il rifiuto di trasfusioni dovrebbe pertanto essere considerato quale manifestazione della libertà di autodeterminazione del soggetto, che non incontra limiti allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita a condizione che il rifiuto sia informato, autentico e attuale. Tale impostazione sembra dunque superare parzialmente la precedente posizione sostenuta dalla suprema Corte il 23 Febbraio 2007 con la sentenza 4211, in cui si propendeva per la necessità di una valutazione concreta, da effettuare in base al rapporto intercorrente fra la situazione clinica sussistente al momento dell’esternazione della propria volontà e quella emergente in sede di necessità dell’emotrasfusione.

Avv. Stefano FRANCHI

con la collaborazione di
Francesca DE VINCENTIIS

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