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Esaminiamo due storie di genialità italiana che si intrecciano con la normativa sui brevetti, al tempo del “coronavirus”.

La prima arriva dall’Ospedale di Chiari, nel bresciano, dove le valvole per il funzionamento dei macchinari per la rianimazione stavano – drammaticamente – terminando. La Ditta produttrice delle valvole (nonché detentrice dei diritti di brevetto) fa sapere di non avere scorte disponibili nel breve periodo. Cosa fare?

I Sanitari si mettono in contatto con una “Start up” specializzata in tecnologie innovative, che riesce a riprodurre le valvole grazie a una stampante 3D, producendo 100 pezzi in 24 ore ed esaudendo così le richieste di vitale importanza.

Se la vicenda appare dunque avviata verso un (geniale) lieto fine, la questione giuridica è ancora in sospeso: la Azienda produttrice, dopo aver negato i disegni originali della valvola, ha infatti riservato di intentare un’azione contro la Start up per violazione dei diritti di privativa. La norma di riferimento è l’art. 66 del Codice di Proprietà Industriale che attribuisce al titolare del brevetto “il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione”.

La giurisprudenza dominante interpreta tale disposizione in modo che ciascuna delle attività vietate costituisca una fattispecie a sé stante, per cui anche la sola “produzione” della valvola costituirebbe un illecito autonomo; peraltro, il diritto di esclusiva si estende a qualsiasi modalità di fabbricazione del prodotto, per cui non rileverebbe il fatto che sia stato prodotto mediante procedimenti e modalità diverse dal titolare (cd. Tutela assoluta). Dalla disamina appena compiuta, non sussistono dubbi che i diritti di privativa legati al brevetto siano pienamente efficaci ed operanti nella specie.

Una scriminante al caso sembra essere fornita dall’art. 68 lett. a) C.P.I. secondo cui la facoltà esclusiva legata al diritto di brevetto non si estende “agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali”. Siamo dinanzi alla ipotesi esimente dell’ “uso personale” del brevetto, laddove la accezione di “uso” comprende – pacificamente – anche la fabbricazione: tale previsione accomuna tutti gli atti che non hanno carattere imprenditoriale che possono essere compiuti anche da persone giuridiche purché senza scopo di lucro.

Tracciato il panorama giuridico, spetta ora alla “diplomazia” delle parti valutare la peculiarità della situazione, onde evitare l’instaurazione del giudizio di contraffazione.

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La seconda storia è invece caratterizzata dall’atteggiamento collaborativo da parte del titolare del brevetto originario: la nota catena di negozi sportivi Decathlon, distributrice della maschera da sub denominata “easybreath”, la cui particolare conformazione si è prestata a un adattamento medico tuttora in corso di sperimentazione.

L’idea è venuta a un ex primario, il quale dopo aver letto la storia delle valvole 3D ha contattato il laboratorio ingegneristico autore dell’impresa, per vedere se era possibile trasformare una maschera da snorkeling in un respiratore C-PAP per terapia sub-intensiva.

In questo caso la Decathlon ha subito messo a disposizione i disegni CAD, permettendo alla Start up di realizzare in brevissimo tempo il componente di raccordo alla maschera, grazie alla stampante in 3D, denominata valvola “Charlotte”: attualmente, due maschere di questo tipo sono in uso sperimentale presso l’Ospedale di Chiari con risultati incoraggianti.

Stavolta la Start up ha potuto procedere al deposito della domanda di brevetto “per evitare eventuali speculazioni sul prezzo del componente”, specificando nel contempo che la invenzione “rimarrà ad uso libero perché è nostra intenzione che tutti gli ospedali in stato di necessità possano usufruirne”. Una attività svolta dunque senza scopo di lucro e con la sola intenzione di aiutare la nazione in uno dei momenti più difficili del secondo dopoguerra.

Avv. Francesco Saverio FRANCHI

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