Carico in macchina una pila di documenti e mi avvio verso Milano con l’ansia di chi è consapevole che, da giurista sportivo, potrebbe tracciare un solco innovativo nella materia. Una buona dormita nella nebbiosa Milano e un risveglio normale dinanzi a un caffè consumato in un Hotel del centro, in stile liberty.
La Commissione Disciplinare della F.I.G.C. del tempo, aveva sede a Milano (oggi a Roma), per cui persino il viaggio dall’Abruzzo necessitò di particolare premura e organizzazione. Mi siedo quindi dinanzi alla Disciplinare presieduta dalla sua storica colonna già a quei tempi: l’Avv. Sergio Artico. Spiego la mia Difesa trattando diffusamente il merito e meticolosamente la procedura istruttoria da adottare in simili casi (secondo il mio pensiero); quindi ringrazio… e saluto. “Grazie Avvocato. Usciremo con il Comunicato Ufficiale…” furono le parole del Presidente. Questo è il quadro storico da me vissuto, ma in realtà la vicenda giuridico sportiva meritava ben altra considerazione.
Il caso concreto: stagione 1992/1993, settima giornata del girone di andata di serie A , Genoa – Pescara allo Stadio Marassi. Arbitra il Sig. Massimo Chiesa. A inizio ripresa il genoano Igor Dobrowolsky cade in area, e l’arbitro estrae il cartellino giallo per simulazione. Invero avrebbe dovuto esibire il ROSSO perché il calciatore era stato precedentemente ammonito. Stupore generale, proteste infinite, ma la partita si concluse con il risultato di 4 a 3 per il Genoa tra le imprecazioni dei pescaresi.
Al rientro a Pescara venne subito convocata una riunione d’urgenza in sede al fine di ovviare al clamoroso errore tecnico, in maniera tale da ottenere quantomeno la ripetizione dell’incontro, nonostante il Mister Giovanni Galeone avesse laconicamente proferito una sua perla: “pur ripetendola, non sarà mai la stessa partita… la gara di Genoa, appena giocata, era alla nostra portata!”. Il Presidente Pietro Scibilia, il D.G. Pierpaolo Marino e io decidemmo senza indugio di inoltrare un Ricorso per contrastare la ingiustizia subita, proponendo una fonte istruttoria assolutamente innovativa: la PROVA TELEVISIVA!
Sebbene avessi la consapevolezza che difficilmente la stessa avrebbe trovato ingresso (perché, forse, troppo innovativa), formulai un articolato ricorso con l’ausilio di Pierpaolo Marino, facendo leva sul clamore mediatico suscitato dal caso. In effetti, numerosi addetti e commentatori sportivi che si schierarono compatti in favore del Pescara: in sede giornalistica (highlights e moviola) il filmato televisivo aveva chiaramente documentato la doppia ammonizione apostrofando l’episodio come “caso Dobrowolsky”, per cui la mia Difesa svolta in sede federale beneficiava di un importante e populistico appiglio attestante la generale consapevolezza che il Pescara aveva davvero ragione.
E diciamolo pure: nutrivo anche la grande speranza di poter rivoluzionare il processo sportivo mediante l’accesso alla prova televisiva. Ma nulla di tutto ciò. Il verdetto della Disciplinare fu caustico: rigetto del nostro Ricorso. Non solo. La CAF si pronunciò in senso analogo, per cui… game over.
Ma non finì lì. A distanza di qualche anno l’Arbitro Chiesa, che nel frattempo aveva deciso di concludere la sua carriera, AMMISE candidamente il proprio errore nel “caso Dobrowolsky” in occasione di alcune interviste rilasciate a testate sportive, generando ulteriore amarezza in tutto l’entourage pescarese.
Traslando l’episodio ai giorni nostri – contraddistinti e governati dalla novità VAR – il palmare errore commesso dall’Arbitro Chiesa (e ammesso! ma in maniera postuma), sicuramente non avrebbe avuto luogo. Anzi il problema si sarebbe risolto sul campo e in pochi secondi.
Avv. Sergio Quirino VALENTE