Con la sentenza n. 2629 del 20 ottobre 2020 la Corte d’Appello di Milano, Sez. Imprese, ha completamente ribaltato le conclusioni a cui era giunto il Giudice di prime cure nella controversia in materia di contraffazione brevettuale che ha coinvolto la società Max Mara S.r.l. e l’azienda partenopea Kocca S.r.l. Quest’ultima, condannata in primo grado al pagamento di € 1.783.432,00 a titolo di retroversione degli utili in favore di Max Mara oltre spese e interessi, ottiene così una significativa vittoria in appello.
L’OGGETTO DEL CONTENDERE Il gruppo reggiano Max Mara S.r.l. Società Unipersonale conveniva in giudizio il Gruppo Germani S.r.l. (ora Kocca S.r.l.) e il Passatempo S.r.l. (ora Carnevali S.p.a.) al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e d’immagine nonché alla retroversione degli utili conseguiti illecitamente per aver posto in essere condotte anticoncorrenziali ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. A fondamento della propria domanda Max Mara adduceva il fatto che, nel settembre 2011, l’azienda campana Kocca avesse anticipato il lancio del jeans “Back Up” in violazione del brevetto depositato dal gruppo reggiano il 30 luglio 2010 e pubblicato il 31 gennaio 2012.
In sintesi, secondo Max Mara, il jeans “Back Up” di Kocca presentava la medesima caratteristica innovativa (nella specie, una tasca configurata in modo da assumere una forma tridimensionale e in grado di valorizzare e modellare i glutei femminili) descritta nel brevetto del proprio prodotto ovvero il pantalone “Perfect Fit”.
L’ESITO DEL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO Costituitasi in giudizio, Kocca deduceva in primo luogo che la progettazione e la realizzazione del jeans “Back Up” fossero temporalmente antecedenti rispetto al deposito della domanda brevettuale da parte della società attrice. In seconda battuta, poi, la griffe partenopea sosteneva che il brevetto Max Mara difettasse dei requisiti della “novità e dell’inventività” e, in via riconvenzionale, chiedeva che ne venisse accertata e dichiarata la nullità. Le osservazioni della convenuta, tuttavia, venivano smentite dalla CTU che, sotto il profilo della novità, escludeva vi fossero anteriorità rilevanti; sotto quello dell’attività inventiva, invece, affermava che “la riduzione dello schiacciamento, l’aumento del confort e la gradevolezza dell’effetto estetico costituiscono un problema tecnico molto chiaro: realizzare una tasca tridimensionale che si adatti bene al corpo che sia comoda da portare e che sia esteticamente gradevole”.
Per il CTU, dunque, il brevetto doveva ritenersi valido in quanto dotato di novità ed inventiva volta a risolvere un problema tecnico effettivamente esistente. Ritenendo che la relazione del consulente d’ufficio fosse inappuntabile in punto di validità del brevetto ed accertato che la commercializzazione del modello di jeans “Back Up” configurasse un’ipotesi di contraffazione brevettuale, il Tribunale di Milano, Sez. Imprese, condannava Kocca a versare alla società attrice quasi due milioni di euro a titolo di retroversione degli utili, oltre spese e interessi.
LE CONCLUSIONI DELLA CORTE D’APPELLO Kocca (che nel frattempo succedeva a Gruppo Germani) proponeva appello avverso la Sentenza di primo grado, fondando la propria difesa su un dato che non era emerso nel grado di giudizio precedente: l’esistenza di una privativa giapponese relativa ad una tasca con le medesime caratteristiche del modello “Perfect Fit” di Max Mara. In particolare, l’appellante deduceva che la validità del brevetto di Max Mara dovesse ritenersi inficiata dalle osservazioni sollevate dall’Esaminatore europeo in sede di estensione del brevetto stesso in Europa.
In sede europea, infatti, la brevettabilità della domanda depositata da Max Mara S.r.l. era stata messa in discussione dalla scoperta dell’esistenza di un’anteriorità giapponese che “riguarderebbe una tasca composta da due porzioni che in sviluppo piano hanno bordi di mutuo accoppiamento tra loro non congruenti, la cui unione, attraverso una specifica cucitura, avrebbe dato luogo alla tipica struttura tridimensionale alla quale il brevetto di cui è causa si riferisce”. Con il secondo motivo di doglianza, inoltre, Kocca segnalava l’erronea condanna all’integrale retroversione degli utili nonché l’errata quantificazione degli stessi che sarebbero stati determinati senza dedurre i costi fissi di produzione.
Richiesta dall’appellante, veniva pertanto disposta la rinnovazione della C.T.U. al fine di verificare la validità del titolo di proprietà industriale azionato da Max Mara S.r.l che, contestualmente, presentava un’istanza di limitazione del brevetto inerente alle rivendicazioni imitative del brevetto giapponese anteriore. Espletata la consulenza, il CTU reputava che il brevetto italiano, nella forma modificata come da istanza di limitazione, fosse provvisto dei requisiti di validità, anche tenuto conto dell’anteriorità giapponese, e riteneva che il pantalone “Back Up” di Kocca non interferisse con tale brevetto. Facendo proprie le conclusioni della CTU, la Corte d’Appello meneghina ha accertato la parziale nullità del brevetto di titolarità di Max Mara S.r.l. nella sua formulazione originaria e ha accolto l’istanza di limitazione ai sensi dell’art. 79, comma 3, c.p.i.
Così modificato il brevetto originario, il Giudice di seconde cure ha dichiarato che il jeans di Kocca S.r.l. non interferisse con il brevetto Max Mara (come limitato) per mancanza degli elementi che lo stesso rivendica come essenziali al fine di accrescere la convessità della regione gluteo del pantalone”. Di conseguenza, non ricorrendo ipotesi di contraffazione del brevetto italiano né di concorrenza sleale, la Corte ha revocato la pesante condanna inflitta alla griffe partenopea nel giudizio di primo grado.
Avv. Stefano FRANCHI