L’applicazione della pena su richiesta delle parti, anche nota con il termine patteggiamento, è un rito alternativo rispetto all’iter ordinario del processo penale. Tale istituto – disciplinato dagli artt. 444 e seguenti c.p.p. – consente di pervenire ad una Sentenza, già nella fase dell’udienza preliminare, sulla base di un accordo tra imputato e pubblico ministero circa il quantum di pena da irrogare. Il patteggiamento gode anche dell’effetto premiale afferente la scelta del rito e consistente in uno sconto di pena fino ad un terzo nonché della facoltà, in capo all’imputato, di subordinare tale richiesta alla pronuncia di sospensione condizionale della pena.
La Sentenza di patteggiamento, inoltre, dal punto di vista processuale presuppone un vaglio del Giudice penale, il quale è tenuto a verificare:
– l’assenza di elementi che possano condurre ad una pronuncia di proscioglimento, a norma dell’art. 129 c.p.p.;
– la congruità della pena;
– la corretta qualificazione giuridica del fatto;
– il giudizio di comparazione delle circostanze.
A seguito dell’entrata in vigore della L. 134/2003, sono previste due forme di patteggiamento: tradizionale e allargato. Quest’ultima forma di patteggiamento – prevista dal comma 1 dell’art. 444 c.p.p. – attribuisce alle parti la facoltà di accordarsi su una pena massima fino a cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria e sempre al netto della riduzione fino a un terzo.
QUAL E’ LA VALENZA PROBATORIA DEL PATTEGGIAMENTO? La Corte di Cassazione, a più riprese, ha ritenuto che la Sentenza di patteggiamento non è dotata della valenza probatoria tipica della condanna emessa all’esito dell’istruttoria dibattimentale (ex plurimis Cass. pen., sez. III, n. 8421/2011).
Non può, tuttavia, escludersi che il provvedimento decisorio avente ad oggetto l’accordo tra pubblico ministero e imputato, nella “piena rappresentativa e deliberativa consapevolezza degli effetti giuridici che ne conseguono” (Cass. pen. sez. VI, n. 13183/2012), contenga pur sempre un’ipotesi di responsabilità e implichi il riconoscimento del fatto-reato (Cass. civ. sez. III sent. n. 2695/2017).
Non può, tuttavia, escludersi che il provvedimento decisorio avente ad oggetto l’accordo tra pubblico ministero e imputato, nella “piena rappresentativa e deliberativa consapevolezza degli effetti giuridici che ne conseguono” (Cass. pen. sez. VI, n. 13183/2012), contenga pur sempre un’ipotesi di responsabilità e implichi il riconoscimento del fatto-reato (Cass. civ. sez. III sent. n. 2695/2017).
COSA STABILISCE LA RECENTE ORDINANZA N. 3643/2019? La recente Ordinanza della Corte di Cassazione sezione lavoro stabilisce, in capo al Giudice civile, uno specifico onere motivazionale laddove non intenda attribuire alcuna efficacia probatoria alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. In particolare – affermano i giudici – la Sentenza di patteggiamento diviene indicativa del comportamento processuale osservato dall’imputato e, pertanto, idonea a riversare, quantomeno quale elemento indiziario, i propri effetti nel giudizio civile.
Infatti, sebbene il nostro sistema sia improntato al principio di unitarietà, in virtù del quale per il medesimo fatto non possono ammettersi contrastanti decisioni giudiziali, la Cassazione specifica che è facoltà del Giudice di merito discostarsi dalla Sentenza, nel caso in esame di patteggiamento, indicandone le ragioni per cui l’imputato abbia ammesso una sua penale responsabilità: d’altra parte, tali Pronunce presuppongono “pur sempre un’ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall’onere della prova” (Cass. Pen., N. 9358/05).
Avv. Stefano FRANCHI
con la collaborazione
della Dott.ssa Jessica MARCELLI