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Con la Sentenza del 27 luglio 2020, depositata il 2 settembre scorso, la Corte d’Assise di Massa ha messo la parola “fine” al processo instaurato nei confronti di Marco Cappato (nonché di Wihelmine Schett, meglio nota come Mina Welby) per aver, secondo l’accusa, rafforzato l’altrui proposito di suicidio e agevolato l’esecuzione dello stesso nei confronti di Davide Trentini, 53 anni, affretto da sclerosi multipla, deceduto in Svizzera il 13 aprile 2017.

IL CASO Il Pubblico Ministero aveva chiesto per entrambi gli imputati la pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione perché, da un lato, Marco Cappato aveva sostenuto economicamente, mediante una raccolta fondi, il suicidio assistito di Davide Trentini e, dall’altro, Mina Welby  lo aveva accompagnato a Basilea, in Svizzera, nella clinica dove poi Trentini aveva assunto il farmaco che gli procurava il decesso.

L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE La questione relativa alla punibilità, ai sensi dell’art. 580 c.p., di un soggetto che fornisce assistenza ad una persona gravemente malata che decide di porre fine alla propria vita è stata già esaminata dalla Consulta. I Giudici della Corte Costituzionale infatti erano stati chiamati a pronunciarsi sulla rilevanza penale della istigazione e dell’aiuto al suicidio nel procedimento che vedeva imputato Marco Cappato per “aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano” (noto anche come Dj Fabo). Ebbene, i giudici della Consulta hanno ritenuto “non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito del suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE La Corte D’Assise di Massa, in applicazione del principio stabilito dalla Corte Costituzionale con la Sent. N. 242/2019, ha constatato la creazione di una nuova causa di giustificazione da parte della Corte in presenza della quale l’agevolazione all’esecuzione del suicidio non è punibile, schematizzandone i requisiti:

  1. Deve essere stato accertato da un medico che la patologia era irreversibile;
  2. Deve essere stato verificato da un medico che il malato pativa una grave sofferenza fisica o psicologica;
  3. Deve essere stato oggetto di verifica in ambito medico che il paziente dipendeva da trattamenti di sostegno vitale;
  4. Un medico deve avere accertato che il malato era capace di prendere decisioni libere e consapevoli;
  5. La volontà dell’interessato deve essere stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni;
  6. Il paziente deve essere stato adeguatamente informato sia in ordine alle sue condizioni, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative.

Dopo aver valutato la presenza di tali requisiti, la Corte D’Assise ha assolto quindi Marco Cappato e Mina Welby “perché il fatto non sussiste quanto alla condotta di rafforzamento del proposito suicidiario di Trentini Davide e perché il fatto non costituisce reato quanto alla condotta di agevolazione all’esecuzione del suicidio del Trentini”.

Avv. Stefano FRANCHI

con la collaborazione del
Dott. Antonio Alexandre CICCONE

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