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Con l’ordinanza n. 42163 del 5 ottobre 2020, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata Impresa, si è pronunciato in merito alla trasmissione illecita di partite del campionato di calcio di Serie A su siti pirata, realizzata da un fornitore di servizi di Content Delivery Network (per brevità, CDN). Accogliendo il ricorso cautelare della titolare di diritti audiovisivi trasmessi illecitamente, il Giudice ha disposto la cessazione immediata di tutti i servizi prestati alle piattaforme pirata nei confronti del fornitore CDN a cui è stato esteso, dunque, il regime di responsabilità declinato per gli altri Internet Service Provider.

LE RETI CONTENT DELIVERY NETWORK Le reti CDN sono state create per migliorare le performance dei siti internet in quanto hanno la funzione di distribuire le informazioni da un server unico a più sedi, evitando che insorgano problematiche nel caricamento o nelle visualizzazioni dei contenuti. Ciò spiega perché tale sistema sia estremamente utile per lo streaming e per le applicazioni web, avendo per l’appunto la finalità di rispondere in modo veloce e sicuro alle richieste degli utenti.

Quanto al provider o fornitore di servizi CDN, va segnalato che lo stesso è il punto di congiunzione tra imprese e consumatori finali.  Il provider di servizi CDN, infatti, è colui che consente alle aziende di distribuire i propri contenuti agli utenti tramite le reti stesse che, come detto, permettono di ottimizzare le potenzialità e la velocità di un sito o di un’applicazione web.

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE La decisione in commento, avente ad oggetto quattro siti vetrina – accessibili da diversi indirizzi – che trasmettevano illecitamente le partite del campionato di calcio di Serie A, ha confermato un provvedimento cautelare reso inaudita altera parte nel settembre 2019, con il quale il Tribunale meneghino aveva ordinato ai provider coinvolti la cessazione immediata della fornitura dei servizi informatici che consentivano la diffusione dei contenuti pirata.

In diverse e trascorse occasioni, invero, il Tribunale di Milano si è imbattuto in casi simili, limitandosi tuttavia ad intimare la cessazione immediata della fornitura dei servizi agli Hosting Providers (soggetti che forniscono un accesso alla rete di comunicazione), ai c.d. Mere Conduit (prestatori di servizi di memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio) e ai Caching Providers (prestatori di servizi di memorizzazione automatica, intermedia e temporanea).

Con la pronuncia summenzionata, invece, il Tribunale ha esteso l’ordine anche ai CDN i cui servizi, nati con lo scopo di migliorare le performance dei siti distribuendo le informazioni in vari server, vengono spesso sfruttati dalla pirateria online per mascherare l’identità delle piattaforme su cui opera. Nello specifico, il Giudice meneghino ha affermato che il servizio prestato dal provider, consentendo ai dati illecitamente trasmessi di transitare lungo la rete internet tramite il CDN senza essere in alcun modo memorizzati, configura comunque una condotta che contribuisce – anche mediante l’attività di conservazione temporanea di dati statici – alla realizzazione dell’illecito. In altre parole, secondo il Tribunale, i server non hanno assunto una mera funzione di “transito” delle informazioni, propria dei servizi offerti dai fornitori di reti o dagli ISP (Internet Service Provider), ma avrebbero celato e poi favorito l’intento della distribuzione illecita.

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Rigettando le argomentazioni del CDN interessato, il Giudice ha così concluso: “anche la semplice attività di conservazione temporanea di dati statici può consentire l’azione illecita e, di fatto, rendere possibile la trasmissione di contenuti pirata. È, quindi, possibile ordinare a un provider di servizi di CDN di bloccare la fornitura di tutti i servizi erogati a favore dei siti abusivi”.

Si tratta di un provvedimento destinato a costituire un importante precedente giuridico, perché per la prima volta un Tribunale ha valorizzato l’effetto agevolatore dei servizi prestati dal fornitore di servizi di Content Delivery Network nella perpetrazione degli illeciti, affermandone l’assoggettabilità ad un ordine di inibitoria totale e, oltretutto, con obbligo di c.d. “stay down”: al fornitore, infatti è stato vietato non solo di cessare la fornitura dei servizi ma anche di tornare a fornire, in futuro, i propri servizi ai medesimi soggetti o ai medesimi portali.

Avv. Stefano FRANCHI

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