L’art. 646 c.p. punisce con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da € 1.000 a € 3.000 il soggetto che, appropriandosi del denaro o della cosa mobile altrui, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto.
È evidente, quindi, che la qualificazione o meno di file informatici come cose mobili determina rilevanti conseguenze giuridiche in merito alla possibilità, o impossibilità, che si configuri il delitto di appropriazione indebita.
LA PROBLEMATICA Per poter parlare di cosa mobile, oggetto materiale della condotta sopra descritta, è necessario che la “cosa” sia suscettibile di “fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione o enucleazione” (Cassazione, Sent. N. 20647/2010); tale definizione determina, di conseguenza, l’esclusione delle entità immateriali, non possedendo queste le caratteristiche per poter essere ricomprese nel concetto di cosa mobile.
Su tali presupposti si sono fondate le pronunce che, negli anni, inserendo i dati informatici nel novero dei beni immateriali, hanno escluso che essi potessero formare oggetto materiale delle condotte di appropriazione indebita e di furto, di cui agli artt. 646 e 624 c.p. (Cassazione Sent. N. 44840/2010 furto; Cassazione Sent. N. 33839/2011 appropriazione indebita).
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LA DECISIONE INNOVATIVA DELLA CASSAZIONE La Suprema Corte, con la Sentenza N. 11959/2020 depositata il 10 aprile scorso, ha ritenuto fondata la condanna per appropriazione indebita di file informatici inflitta ad un dipendente di una società il quale, prima di dare le proprie dimissioni, ha restituito il proprio computer aziendale privo di tutti i dati originariamente presenti, ritrovati poi in suo possesso, determinando un malfunzionamento del sistema informatico aziendale.
La Corte ha dapprima analizzato la natura del file informatico stabilendo che “pur non potendo essere materialmente recepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i file possono essere conservati e elaborati”, per poi concludere con il principio di diritto secondo cui “i dati informatici (file) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”.
Avv. Stefano FRANCHI
con la collaborazione del Dott.
Antonio Alexandre CICCONE